martedì 23 febbraio 2010

Una coscienza

A cinque anni mi ammalai di polmonite, con complicazioni varie perché non era stata curata per tempo in maniera adeguata. Giornate in ospedale, tonnellate di antibiotici, i medici che dicono che guarirò ma intanto mi guardano come se fossi una bomba a orologeria. Io ricordo pochissime cose di quel periodo, a parte qualche incubo che ogni tanto mi perseguita ancora, però di una cosa sono certa: mia nonna di me se ne strafotteva, non è mai venuta a trovarmi, non mi telefonava, non mi ha mai portato dei giocattoli, come gli altri parenti.
Per carità, nessun rancore (quasi), ma lei di me se n'è fregata per tutta la sua vita.
A 18 anni è venuta a trovarmi, dopo quattro anni senza vederla, io ero emozionatissima, avevo le lacrime agli occhi, anche se lei mi aveva sempre odiata. Mi ero avvicinata per abbracciarla e la sua unica reazione era stata una smorfia e un "stai diventando obesa, dovresti metterti a dieta".
Ora io me ne sto seduta sul mio divano a guardare la tv, ma la vocina della mia coscienza non ne vuole sapere di stare zitta. Dovrei andare a trovarla. Povera nonna, potrei portarle una torta. Massì, dai, più tardi passo in ospedale e sto lì un'oretta a farle compagnia.
Perché io mi devo dare tanta pena per della gente a cui non sono mai importata? Perché la mia coscienza non può mandarla a fare in culo come ha fatto lei con me? E poi dicono pure che sono stronza.

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