lunedì 28 giugno 2010

Gelosia

E' dalle 3 che il mio unico pensiero fisso è per favore, lasciatemi dormire. Sono seduta in un angolo per terra, abbracciata a F., il fratello del mio ragazzo, con qualche lattina di birra vuota intorno e una semi-piena in mano, e parliamo con aria assorta e filosofica, come ogni ubriaco degno di questo nome.

- Io non capisco per quale motivo alcune donne siano così possessive. Tu con mio fratello non sei così...
- Caro, io sono gelosissima di L. Strapperei le budella a chiunque si avvicini più del dovuto. Il trucco sta tutto nel non farglielo capire. Non voglio soffocarlo o farlo sentire in gabbia. Lo sa che ci tengo molto a lui, anche senza assillarlo.

Proprio in quel momento l'oggetto della nostra discussione, fermo a chiacchierare con un gruppo di amici, si avvicina pericolosamente a una ragazza. Senza nemmeno rendermene conto scatto in avanti e in un nanosecondo sono già vicina a lui, con assoluta nonchalance, come se passassi di lì per caso. Dopo un po' si alza anche suo fratello, mi passa dietro le spalle e sussurra "Ottima mossa!".

venerdì 25 giugno 2010

La ricerca dell'infelicità

Mi è capitato talvolta di fermarmi a riflettere, rendendomi conto di star cercando di rovinare un rapporto. "E' per paura di soffrire ancora", ripetevo nella mia testa, ma con la consapevolezza che fosse vero solo in parte.
La triste realtà è che io voglio la sofferenza inutile e fine a se stessa, perché ne provo piacere. Quella stretta al cuore associata al pensiero di perdere la persona che amo suscita in me una serie di sensazioni sgradevoli, ma che mi trasmettono un rassicurante senso di familiarità.
Non c'avevo mai fatto troppo caso, perché non volevo pensare di essere pazza (e stupida, diciamocelo) fino a questo punto, ma quando il tuo istinto primario è quello di mettere in pericolo la cosa più bella che ti sia mai capitata, senza un motivo, inizi a porti delle domande.
Mi chiesi da dove sorgesse questo bisogno irrazionale quanto ridicolo, lo stesso che mi fece rovinare il rapporto col mio ex fidanzato e che ora rischia di farmi mandare all'aria anche questo. Passai in rassegna tutte le storie, storielle, non-storie, quasi-storie e via degenerando avute finora, alla ricerca di una chiave di lettura o di un indizio che potesse farmi capire meglio. Rispolverai vecchi diari, sperando di trovare il momento esatto in cui la mia mente ha smesso di cercare la felicità e ha iniziato invece una perversa ricerca dell'infelicità.
E l'ho trovato.

Dopo aver trascorso l'intero pomeriggio a scorrere pagine e pagine di diari che conservo zelantemente nell'armadio senza trovare nulla che potesse essermi d'indizio, all'improvviso, eccolo lì!
Era il 2003. Io ero una giovane 14enne depressa (se fossi stata un'adolescente di oggi sarei sicuramente diventata emo, per fortuna l'ho scampata), lui era un 25enne schizofrenico, nevrotico e malato.
Io lo amavo, intensamente. Lo so che la maggior parte dei lettori penserà che a quell'età non si sa nemmeno cosa sia l'amore, ma non è così. Lo sapevo fin troppo bene, provavo per lui un amore infinito e incondizionato.
Anche lui mi amava... Credo. Era consapevole che fosse inammissibile frequentare una ragazza della mia età e perciò cercava di respingermi. Faceva di tutto per allontanarmi. Mi vomitava addosso tutta la sua rabbia repressa, voleva punirmi per i sentimenti che suscitavo in lui, mi odiava. Ma non riusciva a starmi lontano e si ritrovava a chiamarmi nel cuore della notte per ascoltare la mia voce, per sussurrarmi teneramente che mi amava.
Era un amore malato il nostro, proprio come lui. Mi faceva stare male, ma era anche in grado di darmi una felicità che non avrei mai creduto possibile. Sapevo quello che pensava, quello che provava per me e mi convincevo che tutta la sua rabbia non fosse altro che la frustrazione di un amore proibito. Più lui mi odiava e più cresceva in me la convinzione che non riuscisse a fare a meno di me. Non poteva odiarmi davvero così tanto e continuare a cercarmi.
Ci siamo frequentati in questo modo diabolico per quasi due anni, senza mai andare oltre questa strana forma di amore platonico - se amore lo si può definire -, tranne che per un unico, semplice, fuggevole bacio. Poi un giorno è semplicemente sparito, dicendo che gli avevo rovinato la vita e di non cercarlo mai più.

Sono andata avanti, la mia vita non si è fermata, anche se credevo che sarei morta... Ma una parte di me lo cerca ancora. Una piccola parte di me vuole ancora soffrire. Una microscopica parte di me prova un gusto perverso nel rendere malato un rapporto sano.

mercoledì 23 giugno 2010

Fear

Mi ha preso di nuovo il panico, la sensazione di asfissiare, il bisogno di libertà. Sto bene con lui... Ma la paura di un legame sta avendo la meglio.
Mi sento un'idiota perché sto rovinando tutto con le mie insicurezze, come sempre; è solo che sono terrorizzata. Lui parla di vacanze di Natale, di viaggi lontani da fare insieme, di pranzi di pasqua coi suoi genitori. Fermati! Io non sono pronta per tutto questo. Anche se adesso sono molto più serena, le ferite di un tempo non si sono ancora del tutto rimarginate.
Posso accettare di fidarmi, ma non sono pronta per mettere tutta me stessa nelle mani di qualcun altro facendo progetti e creando dei sogni che con buona probabilità andranno in frantumi. Il passato fa ancora troppo male e non sopporterei di perdere tutto ancora una volta. Mi dispiace perché vorrei poter credere anch'io in questa relazione e buttarmi a occhi chiusi!
Che fine ha fatto tutto il mio coraggio, la mia voglia di rischiare, il mio non fermarsi mai davanti a nulla?

Posso amarti, ma non sono ancora pronta per questo impegno...

venerdì 18 giugno 2010

Déjà vu

- Ho guardato Valèrie, il diario di una ninfomane. Non so bene perché, ma lei mi faceva pensare a te. All'inizio del film, mi ricordava quando ti ho conosciuta. Mi sembravi inafferrabile, una ninfa. Sedevamo al bar ogni sera e, mentre tu parlavi di tutti gli uomini della tua vita, io sognavo che un giorno saresti stata mia.
... Lo so, tu credi che questa storia sia iniziata più o meno per sbaglio, dopo qualche bicchiere di troppo; per me, invece, è stato un vero colpo di fulmine. Ti volevo, sapevo che eri perfetta per me, ma eri così spaventata, sempre pronta a scappare. Ogni volta che cercavo di farti capire quello che provavo nei tuoi confronti, sparivi.

Guardalo, è lì, al solito tavolo del solito bar, come lo siamo stati spesso, negli ultimi mesi, prima come amici, poi come fidanzati. Non è più lo stesso di un tempo, ora sembra più maturo. Sono cambiata anch'io. Sono più rilassata e non ho più paura. Mi fido di Lui.
Sorrido, da dietro il bicchiere. Per un secondo, mi sento di nuovo una piccola principessa, come tanti mesi fa... (Ah, sì, potete capire di cosa sto parlando andando a leggere QUI. Come sembrano lontani, i tempi in cui eravamo nient'altro che amici)

domenica 13 giugno 2010

Impazzire

Ci sono circa 30° all'ombra, nessuno osa uscire di casa allontanandosi anche solo per un istante dall'aria condizionata e dal cielo piovono piccioni arrosti, come nella migliore tradizione dei cartoni animati. Inspiegabilmente, io corro da un lato all'altro del paese, con un enorme scatolone sulle spalle.
Mi fermo in mezzo a un piazzale un po' isolato e, sbuffando, metto giù l'enorme pacco regalo. Controllo velocemente l'area circostante per assicurarmi che non ci siano osservatori indesiderati: sono già abbastanza in imbarazzo, anche senza bisogno di testimoni. Estraggo il cellulare dalla tasca sinistra, invio un ultimo sms, abbasso il volume del telefono e mi chiedo per l'ultima volta se sia proprio necessario. Rassegnata, sistemo la borsa sul fondo della scatola e mi predispongo a entrare a mia volta.
Lo spazio è a dir poco angusto e la temperatura di aggira intorno ai 60°. Sento le gocce di sudore scendere sul collo, sulla fronte, lungo la schiena... Ovunque. Un crampo al piede mi avverte che forse chiudersi in una scatola non è stata una grande idea. Fortunatamente, sento dei passi che si avvicinano nella mia direzione e penso sollevata che Lui stia finalmente per arrivare. Mi predispongo a scattare come una molla fuori dalla scatola urlando un bel "Tanti Auguri"... Ma vengo dissuasa dal suono di voci che non sembrano per niente familiari. Voci femminili, per di più. Voci che, oltretutto, parlano in albanese o qualcosa di analogo e altamente incomprensibile.
Le voci si fermano a poca distanza da me. Chiacchierano ininterrottamente a una velocità tale che sospetto che non sarei stata in grado di capire nemmeno se avessero parlato in italiano. Poco dopo, senza alcun motivo apparente, smettono di parlare la loro lingua e iniziano a parlare in qualcosa che vorrebbe essere italiano. Capisco gran poco del loro discorso, anche se intuisco che stanno sparlando di una donna. Sono perfide a livelli estremi.
Ascoltando i loro livelli non posso fare a meno di lasciarmi andare a una risata compulsiva, che cerco invano di soffocare. Nel frattempo giunge Lui, finalmente, apre la scatola e... Io lo guardo dall'interno, continuando a ridere, non riesco più a fermarmi e non ricordo più quale fosse il piano originario. Dalla panchina le donne domandano incuriosite "E' per te quel regalo? E' enorme! Ma è vivo?". Lui si limita ad arrossire e annuire, imbarazzatissimo, mentre io rotolo, con tanto di scatola.
La prossima volta che decido di rinchiudermi in una scatola, lo farò in dicembre, col freddo forse riesce meglio. E mi scriverò un copione.

mercoledì 9 giugno 2010

Rendersi conto

Ormai è incinta da due mesi, ma credo che finora nessuna delle due se ne fosse capacitata. Lei lo chiamava "il problema" e nella sua mente non era altro che un errore di percorso a cui avrebbe presto messo rimedio; per me invece era una cosa ipotetica, remota e lontana, come quando ti raccontano di episodi incredibili avvenuti a qualche conoscente e pensi che siano cose che non potranno mai capitare a te... O alla tua migliore amica.
Tuttavia, la nostra smania di negare e dimenticare tutta la faccenda, è messa a dura prova, in questo momento: le piccole protuberanze che un tempo occupavano la parte superiore del suo busto, stanno pian piano diventando un seno degno di questo nome; la pancia sempre piatta, adesso si intuisce vagamente arrotondata, anche se nascosta sotto magliette un po' larghe; l'aperitivo serale è seguito da nausee che la costringono a correre in bagno campando scuse di ogni tipo.
Oggi, notando queste cose, mi sono resa conto per la prima volta che è davvero incinta e le domade nella mia testa sono state infinite. Mi chiedevo se sarò davvero in grado di appoggiare la sua scelta di abortire, se la mia coscienza non si ribellerà a metà strada, se lei non avrà dei rimorsi, quanto tempo le ci vorrà per riprendersi, come farà...
E alla fine un unico pensiero, troppo ingombrante per cacciarlo via: quant'è sola?

Non posso abbandonarla.
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