giovedì 21 gennaio 2010

Il professore

Non ne ho proprio voglia, ma non posso mancare a quel concerto. Le mie amiche, e soprattutto lui, sarebbero troppo delusi. E va bene, mi vesto, mi trucco, cerco invano di nascondere quelle dannate occhiaie. Corro, sono in ritardo, sto perdendo il treno. Arrivo all'ultimo secondo, mentre parte, col cuore in gola. Mi siedo e cerco di riprendere fiato. Il biglietto! Ormai... Vedo il controllore in fondo al vagone. Siamo quasi alla mia fermata. Ce la farò, non ce la farò? Sembra essere il mio giorno fortunato, visto che si ferma a discutere con una donna di mezz'età che viaggia senza biglietto, dandomi la possibilità di fuggire e scendere dal treno con tutti i miei (pochi) soldi intatti.
Esco dalla stazione tirando un sopiro di sollievo e mi accendo una sigaretta: ho bisogno di calmarmi. Sono settimane che vado avanti a evitare le mie amiche, perché lo SANNO. Io so che loro sanno ogni cosa, anche se non dicono nulla.
Arrivo davanti al bar. Respiro profondo e apro la porta prima che mi manchi il coraggio. Eccole lì. Quelle ragazze mi vogliono più bene di quanto ne meriti, e proprio per questo faccio fatica a incontrare il loro sguardo. Non sembrano arrabbiate. Non capisco.
Inizio a rilassarmi, finalmente; le saluto con affetto, ma non riesco a nascondere il tremolio delle mie mani, che naturalmente non sfugge nemmeno a loro. Sono pallida, lo so. Cos'hai, cara? Perché non sei più venuta in città? Va tutto bene? Si, si, sto bene, mento.
Si avvicina anche lui. Mi saluta e mi guarda perplesso per un istante, poi mi sorride e mi dice "Tu hai bisogno di una tequila, cara". Le altre si voltano tutte a guardarlo con aria sconvolta "Per voi invece una coca-cola, non avete ancora l'età per bere alcolici". Rido. Ce l'ha fatta, è riuscito a farmi sorridere. Bevo la tequila alla sua salute, mentre le altre riescono ad arrivare a un compromesso e prendono una birra.
Dopo la terza tequila sono decisamente rilassata. Ballo, canto sulle note delle sue canzoni, lo guardo e sorrido.
Alla fine del concerto scende dal palcoscenico e mi porta in un angolo appartato.

- Come stai?
- Bene, bene - rispondo, senza pensarci, la classica risposta di routine.
- Dico davvero, come stai?

Gli sorrido. Gliene sono davvero grata. Quella semplice domanda mi fa stare molto meglio.

- Non tanto bene, prof., non è stato un bel periodo.
- Qualcosa ho saputo. Mi dispiace davvero, ma non ti abbattere. Al contrario, credo che dovresti approfittarne, per crescere, alla tua età è giusto che sia così. - Non lo dice con presunzione. Parla come un amico, non come un insegnante. - Sono esperienze che fanno male, perché ci costringono a renderci conto che anche noi siamo umani e che siamo vulnerabili. E' vero che il tempo cura le ferite, ma ognuno ha bisogno dei suoi tempi. Non metterti fretta, prenditi i tuoi tempi. Soffri, se ne hai bisogno, rifletti, su quello che è successo, e sul modo in cui lo stai affrontando. Ti aiuterà a crescere, a maturare... E quando sarai pronta, riprendi in mano la tua vita. Per adesso è giusto che lasci che gli eventi seguano il loro corso.
- Ci proverò. - E per una volta sono sincera.

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